Capacità riflessiva e strategie collettive. Quando lavorare su sé stessз non basta

Giulia Ganugi
5 min readMay 22, 2021

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Photo by Daoudi Aissa on Unsplash

Oggi, circa un anno dopo aver smesso la psicoterapia su consiglio della mia stessa psicologa, posso dire di aver imparato a gestire l’ansia e lo stress da lavoro. Non significa che non lo provo più: credo che alcuni lati del mio carattere non mi permetteranno mai di azzerare l’ansia. Sono in grado, però, di capire quando la mia mente e il mio corpo sono al limite. Allora mi impongo di fare un respiro, rallentare, mettere in prospettiva le priorità e pensare a una cosa alla volta.

La cosa di cui sono più felice è che attraversare questo periodo della mia vita (se non sai a cosa mi riferisco, trovi la prima puntata qui e la seconda qui) mi ha permesso di riscoprire la capacità di condividere, di aprirmi all’Altro e di essere anche uno stimolo per l’Altro. Se fosse stato altrimenti, non mi sarei lanciata nell’avventura del mio progetto divulgativo.

Quando ho cominciato a stare meglio mentalmente, sono riuscita a vivere di nuovo le mie giornate attivamente, affrontandole nel modo in cui volevo, non semplicemente sopportandole passivamente come era stato per il periodo precedente. Accettare che non potevo essere sempre al massimo, sempre sorridente ed energica, sempre entusiasta di fare tutto, mi ha insegnato a fare spazio anche ai lati più silenziosi, solitari e pensierosi di me stessa, che prima cercavo di nascondere.

Nella quotidianità, ho ricominciato a leggere romanzi e guardare film (la psicologa mi ha sempre detto che aiuta molto immedesimarsi nelle vite altrui); ho ripreso a fare sport e mi sono anche curata acciacchi che avevo trascurato.

Sul lavoro invece, è stato più difficile capire come rallentare i ritmi. Ho imparato a dire “no” quando le richieste erano eccessive e, con mia sorpresa, questo ha contribuito a far capire a professori e colleghi che sapevo organizzarmi e gestire il carico di lavoro. Mi sono imposta orari: ho smesso di lavorare alla domenica e, a volte anche il sabato, se non ho scadenze urgenti. Staccare il cervello uno o due giorni fa la differenza. Infine, ho imparato a relativizzare: non faccio un lavoro che determina la vita e la morte delle persone. Se non riesco a completare un lavoro oggi, lo completerò domani. Questo non arreca danno a nessuno.

Se dovessi usare un termine sociologico per descrivere il processo che ho vissuto, credo che riflessività sarebbe il più adeguato. La riflessività (re-flectere) è la capacità di un attore di auto-analizzarsi, di considerarsi in relazione ai contesti sociali in cui vive e di considerare questi ultimi in relazione a sé stesso, modificando sé stesso o il contesto sociale se necessario. Solitamente, si attiva in seguito a momenti di crisi o a fronte di nuovi rischi ed è potenzialmente ciò che porta alla generazione di risposte e soluzioni innovative.

Se hai letto anche i miei articoli precedenti, saprai già cosa scriverò ora: la riflessività individuale non basta. Non basta, perché i disturbi di salute mentale causati da condizioni lavorative insostenibili non sono un problema individuale. Devono iniziare a essere trattati come un problema sociale e collettivo. Quindi, è necessario adottare una strategia collettiva. Sicuramente dovrebbero farlo i decisori politici e chi detiene un ruolo di potere. Intanto, però, possiamo cominciare tutti noi e contribuire a cambiare la cultura collettiva del lavoro.

Ho scoperto da poco, grazie a uno dei tanti confronti che ho avuto dopo avere parlato di questi temi in rete e pubblicamente, l’approccio della Slow Academia (o Slow Science), che offre un modello alternativo e sostenibile di lavoro, tramite cui ognuno può prendersi cura di sé e della collettività in cui lavora e vive.

Il lavorare “slow” non riguarda solo il tempo. Riguarda anche le strutture di potere e le ineguaglianze. Trasformarsi in “accademici lenti” (o lavoratori lenti) non significa solo rendere la nostra vita migliore. Significa riformulare le culture e i processi lavorativi. Significa generare culture e processi lavorativi di cura.

Riassumo da questo articolo trovato grazie al blog “The Slow Academic” (link), otto azioni da cui partire, su cui ti lascio riflettere: 1. Supporta strategie lente e parlane: la percezione è sempre che gli altrз lavorino più e meglio di te. Se dici no a ritmi frenetici e disumani, fallo sapere, soprattutto se sei in posizioni lavorative più avanzate. 2. Considera quello che gli altri non considerano: valuta la qualità sulla quantità, approfondisci il lavoro di accademici sconosciuti, perché rimasti marginali nel tuo settore per via di disuguaglianze di genere, di classe, razziali e di potere.

3. Crea luoghi di incontro: il confronto, la condivisione e il lavoro collettivo dovrebbero essere le fondamenta del lavoro, perciò organizza gruppi di lettura o scrittura, spazi fisici o digitali per le pause, seminari e conferenze anche con forme atipiche. 4. Spegni le e-mail: o meglio, anche se le leggi, non rispondere dopo un certo orario e in determinate giornate, così mostrerai agli altri che la tua vita e il tuo tempo implicano molto di più che il lavoro. In questo modo, contribuisci anche a modificare la cultura collettiva del lavoro.

Ritaglia tempo: 5. Per pensare: i momenti in cui lasci da parte ogni altro compito, ti dai la possibilità di rinvigorire tè stesso, dare nuova energia ai tuoi progetti, ritrovare aspetti fondamentali del tuo lavoro sommersi dalle mansioni quotidiane (scrivere report, partecipare a riunioni, compilare scartoffie). 6. Per scrivere (in modo diverso): valorizza ogni singolo minuto passato a scrivere e dai peso a ogni singola parola che usi. La scrittura è individuale e collettivo: ciò che scrivi lascia un segno profondo nella società e dovrebbe riflettere i tuoi valori, quelli in cui credi e quelli per cui ti batti.

7. Impara a dire no: il tuo tempo non è infinitamente elastico, hai il diritto di dire no alle molteplici richieste che ricevi durante la giornata. Insegna a dire di no alle persone con cui collabori o che dipendono da te. Infine, impara a non chiedere troppo agli altri. 8. Raggiungi il minimo: “abbastanza bene” è la nuova perfezione! Invece che affannarti per collezionare pubblicazioni e righe sul cv, raggiungi il numero minimo per superare i traguardi (posizioni e promozioni): facendolo, investi sulla qualità, non sulla quantità, e riconosci la necessità di equilibrio della tua vita.

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Giulia Ganugi
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Written by Giulia Ganugi

Sociologa e ricercatrice. Mi occupo di innovazione sociale, governance, modelli di welfare e cittadinanza. Qui scrivo del mio viaggio nella società.

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