La psicoterapia e il supporto sociale: un percorso fatto di tentativi, passi falsi, ricadute e spiragli di luce

Giulia Ganugi
5 min readMay 8, 2021

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Fare esperienza di cattive condizioni di salute mentale, che siano composte da ansia, forte stress, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, tabagismo, non comporta quasi mai un’immediata azione, o meglio reazione, da parte di chi ne soffre. Non come un male ai denti o un braccio rotto. È molto più facile che siano dolori e disturbi fisici a far attivare un’azione di cura.

Non sono una psicologa, quindi le mie sono supposizioni, ma credo che possa essere perché in fondo tuttз sappiamo che intraprendere un percorso di cura nei confronti della nostra mente è notevolmente più impegnativo, stancante e complicato. Però arriva quel momento in cui anche le condizioni mentali non sono più sostenibili oppure si riversano in qualche modo sul fisico.

Per me è stato così: ho avuto episodi di malessere fisico e pensieri che mi hanno fatto capire di essere al limite. Questi sono stati i miei campanelli d’allarme. Ho capito che avevo bisogno di parlare con qualcunǝ che avesse gli strumenti per guidarmi e per farmi capire come stare meglio.

Non ero mai andata da unǝ psicologǝ e non avevo contatti. Così ho chiesto a un amico che per professione poteva averne. Amico della cui sensibilità mi fidavo ciecamente. Fidandomi del suo consiglio ho tentato e sono stata fortunata, perché mi sono trovata subito molto bene. So che per moltз non sempre va bene al primo tentativo e provano a confrontarsi con diversз professionistз.

Inoltre, nella decisione di iniziare un percorso psicologico rientrano anche altri elementi, come la mobilità sul territorio, sia nazionale sia extranazionale, a cui spesso siamo costrettз, soprattutto nella fase di studio o inizio carriera, o entrambe. Infatti, chi è costrettǝ a spostarsi frequentemente, si ritrova a rimandare percorsi di questo tipo per non doverli interrompere dopo pochi mesi e dover cercare unǝ altrǝ psicologǝ. Un altro elemento, penso, sia l’avere o il non avere figlз: quando si ha la responsabilità del benessere di altri individui, può non essere facile ritagliarsi il modo e i momenti per prendersi cura di sé stessз.

Il mio percorso è durato un anno e mezzo. All’inizio ero convinta avremmo parlato del mio presente, di ciò che mi metteva ansia e che non riuscivo a controllare, del lavoro. Così ero molto restia ad aprirmi quando la conversazione virava su aspetti della mia vita che mi sembravano totalmente scollegati dal mio malessere.

A proposito di conversazione: sì, gli incontri con la mia psicologa erano chiacchierate, durante le quali eravamo entrambe sedute su poltrone molto comode (no, nessun lettino e nessun taccuino su cui lei appuntava quello che dicevo). La conversazione non era univoca (cioè io che rispondevo a sue domande, o lei che mi faceva degli spiegoni sulla vita), ma bidirezionale, proprio come un dialogo tra due persone che si scambiano prospettive e punti di vista.

Quando, finalmente, dopo aver accettato di far riaffiorare sensazioni dolorose legate al passato, sono riuscita a togliere i blocchi e ho permesso alla conversazione di fluire, la psicologa mi ha portato a ragionare su miei atteggiamenti, paure e insicurezze, che non avevo mai affrontato prima e che non capivo come stessero influenzando il mio presente. Lavorando su questi punti, ho compreso meglio perché determinate situazioni mi mettevano ansia e stress e, piano piano, ho capito come osservare le stesse situazioni da altri punti di vista. Questa è stata la svolta per iniziare a stare meglio.

Contemporaneamente al percorso con la psicologa, ovviamente, ho continuato a fare la mia vita e ad avere rapporti con le persone. La maggior parte non sapeva niente di quello che stavo affrontando, mentre con le persone care ho provato a parlarne.

Con lз amicз, in realtà, non ho condiviso molto, perché non mi sentivo capita. Ma non faccio loro una colpa, credo sia semplicemente colpa del fatto che chi non vive l’ambiente accademico e non ne ha mai sentito parlare non riesce più di tanto ad immaginarselo. Probabilmente, inoltre, non ero del tutto in grado di spiegare loro come stavo.

C’è anche da dire che io sono sempre stata una persona solare e molto socievole; ero io quella che organizzava le uscite, che creava connessioni tra amicз che non si conoscevano. Quindi, quando mi è capitato di dire loro che non stavo bene, tuttз mi rispondevano: “Non è niente dai, ci beviamo una birra, facciamo due risate e ti rilassi”. So che lo dicevano per farmi stare meglio, ma io non mi rilassavo mai.

Per quanto riguarda la famiglia, il supporto più grande è arrivato da mia mamma. Anche mio papà e mio fratello sono stati comprensivi e sensibili, ma in modo silenzioso. La cosa più difficile è stata dire loro che ero al limite e che avevo bisogno di aiuto, soprattutto perché sapevo che si sarebbero preoccupati come non mai. Ed è stato così, ma dopo il primo momento di sconforto, mia mamma è riuscita a starmi a fianco, in modo molto discreto, ascoltandomi quando ero io che volevo raccontarle, e anche riflettendo lei stessa su cosa sentiva di aver sbagliato e su cosa poteva fare per farmi stare meglio.

L’unica persona della famiglia più stretta a cui non l’ho detto, e che non lo sa tuttora, dopo tre anni, è mia nonna, donna di 92 anni, donna d’altri tempi. Tempi in cui era automatico associare la terapia psicologica all’idea di “essere mattз”. Siccome credevo fosse inutile darle questo tipo di preoccupazione e contemporaneamente sapevo che non sarei mai riuscita a farle percepire che, per fortuna, non è più così, ho preferito non dirglielo.

Esclusa lei, però, ho cercato di parlarne il più possibile e sto continuando a farlo, perché siamo tantз a vivere queste condizioni di salute mentale e ad affrontare percorsi psicologici e di ricerca di supporto sociale. Quindi tanto vale non farlo da soli. Per questo, ripeto e invito chiunque mi legga e mi ascolti su questi temi a parlarne, quando e come possibile, perché spesso il risultato della condivisione è migliore di quello che avremmo creduto. In più, parlandone abbassiamo sempre più la percentuale di persone che non riescono a capire queste problematiche, o che — peggio — ne ignorano l’esistenza.

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Giulia Ganugi
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Written by Giulia Ganugi

Sociologa e ricercatrice. Mi occupo di innovazione sociale, governance, modelli di welfare e cittadinanza. Qui scrivo del mio viaggio nella società.

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